The Supergeneration I GEN Z

ZETA, THE SUPERGENERATION
La Generazione Z ha lasciato l’issmo e ha sposato il super. Non dicono più bravissimo, bellissimo, contentissimo, dicono superbravissimo, superbello, supercontento. Nel mondo di questi anni, quelli dove la Generazione Z da adolescente sta diventando adulta, tutto è così eclatante ed estremo che per dargli il giusto sapore non sono più sufficienti i nostri vecchi superlativi. Ma davvero esistono ancora le generazioni? L’architettura a piani generazionali è schema corrente nei media e nella rete, o anche solo nelle giaculatorie della proverbiale casalinga di Voghera. Se lo chiedete all’AI, vi elenca Lost Generation (1880-1990), Greatest Generation (1901-1927), Silent Generation (1928-1945), Boomers (1946-1964), Generazione X (1965-1980), Millennials (1981-1995), Generazione Z (1996-2012), Generazione Alpha (2013-). Eppure già negli anni ottanta lo scrittore italiano generazionale per eccellenza, Pier Vittorio Tondelli, ci avvertiva che se le generazioni davvero ancora esistevano, queste erano trasversali. Non è l’anagrafe a contare, osservava PVT, ma un taglio obliquo attraverso le età, attorno a cui si rapprendono generazioni fatte di abitudini condivise, look prediletti, musica ascoltata, percorsi di formazione, (non)luoghi di aggregazione. Ma Tondelli era un boomer, e i giovani che aveva sotto gli occhi erano quelli della Generazione X, la più, sfilacciata, disillusa, esangue di sempre (consultare Douglas Coupland). La Generazione Z è cresciuta con le restrizioni del Covid, l’invasione russa dell’Ucraina, quella israeliana in Palestina, i disastri dei cambiamenti climatici. I Gen Z sono diventati grandi in una specie di asfissiante terrore quotidiano, mentre il loro orizzonte si frantumava e dal rosa scoloriva al nero. Ma non sono collassati e nemmeno ammutoliti. Non si sono accasciati sul divano ad aspettare il peggio. Per questo furto di futuro, per questa sottrazione di serenità, si sono indignati. Questo è il taglio trasversale attorno a cui si rapprende quel che chiamiamo Generazione Z e la lettera che la contraddistingue io la vedo così: la doppia z su cui batte la lingua quando ci parlano della loro incazzatura. E quindi, questi dieci artisti? Sono nati tra il 1996 e il 2005, alcuni sono ancora all’accademia, altri hanno un diploma e un percorso già definito. Per loro incazzarsi vuol dire essere preoccupati per il mondo in cui vivono, vuol dire rompere le scatole, non arrendersi, tornare a guardarsi allo specchio, essere orgogliosi di sé. E dipingersi. Ma vuol dire anche restare tenacemente aggrappati alle proprie cose, ai propri amici, parenti, ricordi. E dipingersi. Ancora: vuol dire anche alimentare la pietas che provano per chi sta peggio di loro. E dipingersi. Infine, vuol dire essere consapevoli dell’allegria che rimane al fondo di ogni giovinezza e mescolarla all’ironia, per dipingere questo mondo bruttissimo e bellissimo. Chiedo scusa: superbello e superbrutto.