Uncanny Valley
Più di 50 anni fa, Masahiro Mori, all’epoca professore di robotica presso il Tokyo lnstitute of Technology, scrisse un saggio su come immaginava le reazioni delle persone a robot che avessero un aspetto e un comportamento simili a quelli umani. In particolare mostrò come, al variare della somiglianza, il sentimento di affinità sperimentato dalle persone verso macchine antropomorfe crescesse uniformemente fino a toccare una soglia oltre la quale, data l’eccessiva somiglianza, mutava bruscamente in repulsione. Questa discesa nell’inquietudine è nota come • uncanny val/ey”.
Si tratta di un concetto piuttosto semplice da comprendere: non associamo reazioni negative a una bambola che riproduce in scala gli aspetti funzionali di un corpo umano, anche quando – premendo un bottone – la sentiamo
parlare. Non diremmo però lo stesso se la bambola fosse in grado di chiamarci per nome col nostro tono di voce o se improwisamente ci stringesse la mano.
“When the prosthetic hand detects the current by means of electrodes on the skin’s surface, it amplifies the signal to activate a small motorthat moves its fingers. Because this myoelectric hand makes movements, it could make healthy people feel uneasy. lf someone wearing the hand in a dark piace shook a woman’s hand with it, the woman would assuredly shriek!”‘
Oltre a essere un’utile guida per ingegneri robotici e game developers, il fenomeno descritto dal grafico sembra irriducibile ai due ambiti. Sebbene il termine “uncanny” descriva quel luogo nel grafico in cui perdiamo ogni senso di affinità o, in termini matematici, un livello di affinità negativo, viene spontaneo assecondare l’invito proposto dal termine a compiere una piccola deviazione, spingendoci a sostituire “affine” con “familiare”: Unheimliche – il perturbante – citando Freud, è “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare:• Non a caso, è attraverso la figura di Olympia, personaggio del racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffman (1817) Sandmann, che Freud descrive il concetto di perturbante: Olympia è una bambola meccanica di cui il protagonista si innamora; le sensazioni di straniamento e ambiguità suscitate dal testo di Hoffman corrispondono proprio a quella “condizione particolarmente favorevole al sorgere di sentimenti perturbanti che si verifica quando si desta un’incertezza intellettuale se qualcosa sia o non sia vivente, o quando ciò che è privo di vita si rivela troppo simile a ciò che è vivo”.
Il senso di disagio che accomuna Olympia alla mano prostetica non sembra dato da un eccesso di realtà, in cui scopriamo essere vero – cioè vivo – ciò che sembrava finto – cioè morto. Non smettiamo di essere consapevoli dell’artificialità della mano o del fatto che Olympia sia solo una bambola: ciò che accade sembra, piuttosto, dipendere da un’incursione della finzione nel reale.
Hey Giri! (2007) opera teatrale di Romeo Castellucci, si apre con la nascita di un corpo femminile: sul piano rigido di un tavolo vediamo stagliarsi il corpo sdraiato della donna; questa lascia cadere a terra gli stracci di una muta, modellata sulla sua figura. Simile, ma non identica, la sua pelle rimane inanimata a terra. Cosa precede la sua nascita? La coerenza del corpo integro è il risultato delle sue parti sconnesse. Il senso di realtà dato dalla sua integrità proviene da un frangente passato fatto di rumori disarticolati e sensazioni tattili incoerenti.
Il seno che mi allatta è fuori dal mio corpo? Da dove viene la mia voce? Il momento della nascita di un corpo descrive la sintomatologia della psicosi.
Il filosofo e psicoanalista francese Jacques Lacan descrive questa condizione come corps morcelé, corpo in pezzi, indicando un vincolo inscindibile tra la coesione di quest’ultimo e la nascita del proprio ego, il proprio “id’. L’identità ottenuta, tuttavia, è ben lontana dall’essere manifestazione del reale.
“L’assunzione giubilante (assomption) della sua immagine speculare dal tipo di essere – ancora intrappolato nella sua impotenza motoria e dipendenza nutritiva – che il piccolo uomo è allo stadio infans mi sembra quindi manifestare in una situazione esemplare la matrice simbolica in cui egli, ancora nella forma primordiale, precipita prima di essere oggettificato nella dialettica dell’identificazione con l’altro”•
Questa forma di oggettificazione sottesa ad uno stadio successivo alla propria nascita è messa in scena da Castellucci tramite l’uso di una maschera integrale che – insieme – copre e riproduce fedelmente il volto della
protagonista. L’origine esternalizzata – finzionale, morta – dell’identità assume le sembianze di una bambola: la forma di un “lo ideale” che non può essere rintracciato.
1. Masahiro Mori, “The uncanny valley;’ Energy, voi. 7, no. 4, pp. 33-35, 1970
2. Jacques Lacan, Ecrits, Editions du Seuil, 1999, p.76