THE ITALIAN ART GUIDE


Essere parte, rimanendo sé stessi

Alla galleria The Flat Massimo Carasi va in scena un’ode alla Singolarità come strumento di appartenenza e di riconoscimento reciproco, rivendicando per la creatività umana il ruolo di narratrice e costruttrice di percorsi di senso condivisi. In barba all’AI.

Articolo di Alessia Baranzini

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Oggigiorno il tentativo di identificare la diversità sembra diventato prassi. Tuttavia, se ne parla in maniera sempre più distorta, utilizzando l’atto del distinguere per creare una rottura, separando i diversi dagli uguali.
Neanche il mondo dell’Arte Contemporanea è immune da questa tendenza: per rispondere alla clusterizzazione del passato, si sono compiuti continui sforzi per evidenziare i fenomeni indipendenti o le correnti più rivoluzionarie. Eppure, difendendo il valore dell’identità, troppe volte si è finiti per osteggiare la collettività e per dimenticare quanto ugualmente rivoluzionario sia l’atto di essere sé stessi insieme agli altri.

Le opere di Anthony Coleman e Guadalupe Salgado, riunite per “Near to Singularity, Unclear Which Side…” alla galleria The Flat Massimo Carasi, ci dimostrano che la personalità può esprimersi anche in maniera costruttiva.

Il titolo è dichiaratamente ispirato ad un tweet di Sam Altman, CEO di OpenAI, che ha cercato di descrivere così, in sole sei parole, la storia del suo ChatGPT.
Per quanto riguarda il da che parte si trovi, The Flat con questa mostra non ci lascia alcun dubbio: il tema dell’intelligenza artificiale non è che un espediente per la sua stessa negazione, poiché nei suoi spazi ritroviamo un genuino condensato di umanità. L’obiettivo della galleria è infatti quello di rivendicare per la Singolarità il ruolo di strumento di costruzione di significati condivisi, mostrando come proprio attraverso la creatività umana e l’essere sé stessi si possa generare appartenenza (sanando poi anche le incomprensioni circa il vero significato di diversità).

“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria

Coleman e Salgado avviano tra di loro e con lo spettatore un dialogo profondo, affrontando le contraddizioni e le incoerenze della società occidentale e del settore dell’Arte in maniera estremamente personale (singolare, appunto).

Coleman, nato e cresciuto a Philadelphia (USA), è un artista autodidatta, con disturbi dello spettro autistico, limitata capacità linguistica ma grande forza espressiva ed emotiva. I suoi soggetti hanno tratti ricorrenti: nasi simili a becchi, forme corporee angolari, colori piatti ma vivacissimi. Egli utilizza un alfabeto visivo inconfondibile e che ormai è divenuto la sua firma. La materialità delle opere è evidente: si sente l’urgenza del gesto, il calco lasciato nella carta, l’insistenza dei contorni scuri e di quegli occhi penetranti. Quasi che pare vederlo, Coleman, al lavoro, con la frenesia e la spinta di chi mette semplicemente tutto sé stesso in ciò che sta facendo.

“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria
“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria;

Si potrebbe chiamare arte degli outsider ma, ancora una volta, sarebbe un atto di separazione. La forza della mostra sta nel non farci sentire questo artista come un corpo estraneo o diverso e nel permetterci di ritrovare noi stessi in quei disegni: anche noi da bambini calcavamo i pastelli con la stessa enfasi e libertà espressiva; anche noi forse possedevamo un furby, come quello ritratto nell’opera Force Field Creature & A Pink Furby (2023) e che ha finito per darci il tormento.

È lo stesso Coleman a rivendicare il proprio posto, in una recente intervista per Carhartt Wip Journal: egli vuole essere ricordato semplicemente come «Tony, che con l’arte ha lasciato un segno ed è stato accettato» («Tony, with art, made a mark and was accepted»).

Ciò che spesso rompe l’incanto della creatività è il senso di responsabilità, che spinge a mettere paletti, ad operare classificazioni. Coleman come sola responsabilità si dà quella di essere Tony, ricordandoci che non c’è forma di libertà, di umanità e di partecipazione alla società, o al mondo dell’Arte, più grande di questa.

“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria;

Guadalupe Salgado, artista messicana classe 1991, con le sue sculture-peluche dà vita ad un corto circuito per nulla anacronistico, mescolando ancora una volta piano individuale e piano sociale, e saldando fra loro l’esperienza del singolo con il destino del mondo. Nella sua archeologia low-budget la storia, prendendo corpo in reliquie morbide simili a giocattoli, assume un aspetto privato, familiare e accessibile. Al di là delle loro fattezze giocose, però, simboli come la Sirena, il Serpente, i Fantasmi, il Drago conservano un valore ancestrale e condiviso.

Per Salgado questa operazione è anche un espediente per denunciare il furto, l’appropriazione e, in casi più gravi, la distruzione subita dagli artefatti delle civiltà del passato (tra cui certamente anche quella messicana): oggetti che vengono sradicati dai luoghi di origine diventando simboli apolidi senza passato e dal futuro incerto. Volendo poi allargare ulteriormente il campo, emerge anche una riflessione sul progressivo svuotamento nella società del valore del sacro. La spiritualità ha perso un proprio formato specifico e, forse, è proprio questo che spinge l’uomo a cercare di implementarla nelle intelligenze artificiali. 

“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria;
“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria;

Avete mai visto un fulmine ad occhi chiusi? Accade ad esempio quando guardate una fonte luminosa troppo a lungo, tanto che ne rimane un’impronta retinica sulle palpebre chiuse. Giunti al termine del percorso di mostra l’effetto pare lo stesso: sarà per tutto il colore che invade gli ambienti bianchi della galleria, senza mai davvero lasciare spazio al vuoto. Sarà perché tutte quelle forme e simboli familiari, quei personaggi fumettistici e rumorosi, restano attaccati. Sì, alla fine, rimane addosso un’impronta.

Al tweet di Altman diamo il solo merito di averci ricordato l’importanza della Singolarità ma, conclusa la visita a The Flat, non ci sembra più una linea di demarcazione, semmai la bandiera di una profonda verità: essere singolari, creativi, umani, è forse l’unica chiave per un progresso reale e di tutti.
Essere singolari è essere parte, rimanendo sé stessi.

Redazione: Marianna Reggiani

“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria;
“Near to Singularity, Unclear Which Side…”, vista della mostra, cortesia degli artisti e galleria;