G.M.










Federico Antonini, (1985) è un art director, ricercatore e collezionista di libri, per Esposizione Sud Est, spazio indipendente per l’arte contemporanea sito a Conversano (Ba), presenta G.M.. Il geist – spirito – della mostra consiste in una riflessione sulla disfunzionalità di oggetti e di pratiche, e il tentativo di rifunzionalizzazione o “allineamento”. La sigla che compone il titolo sta per la parola good morning e traduce il movimento incipitario o se vogliamo propiziatorio che attraversa le tre opere in mostra: quel senso di cominciamento che è proprio delle mattine, che è inscritto nei gesti automatici del risveglio e negli spostamenti abituali – svolti di buon’ora – di chi vive in una grande città.
È un buongiorno disfunzionale quello di Antonini, che in G.M. celebra la fuga dalla produttività, demistificando e al contempo esaltando una metafisica del quotidiano.
Ne vien fuori una sorta di materialismo romantico che da un lato distrugge i presupposti ontologici dell’oggetto e del pensiero che lo pensa, e dall’altro promette nuovi apparati di osservazione.
Il primo elemento della mostra è composto da un bicchiere di succo d’arancia e una cassa bluetooth. La similarità cromatica fra i due soggetti tradisce l’indole performativa dell’opera, essa infatti cristallizza il tentativo di Antonini di raggiungere tramite la spremitura delle arance la stessa tonalità di rosso del dispositivo bluetooth.
La musica che viene riprodotta dalla cassa è il risultato della sovrapposizione di tracce prese da YouTube; la particolarità di questi brani sta nel non avere alcun valore artistico poiché tratti da video tutorial su come accordare strumenti cordofoni, in accordature aperte DADGAD.
Il secondo dei tre “senza titolo” che compone la mostra, consiste in una selezione di libri della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) risalenti agli anni ’50. I volumi fanno parte di un corpus di trenta esemplari rinvenuti da Antonini in un mercatino antiquario di Torino, testimonianza di uno dei progetti editoriali più rivoluzionari del dopoguerra: la prima stampa di una collana economica che si poneva il fine di divulgare i classici della letteratura, fissando un prezzo politico di 50 lire ogni 100 pagine.
Ma a tutelare l’operazione dal semplice prelievo dal mondo reale vi è l’intervento della signora F.M., colei che per prima – negli anni 50 – comprò e possedette questi libri e che, forse avvezza a leggere in luoghi pubblici e dunque per motivi di privacy, intese ricopertinare i volumi con carta di giornale dando vita a piccole opere concettuali; a stupire infatti è l’innegabile assonanza fra i soggetti delle sovracopertine create dalla donna e i titoli dei libri. Fra i tanti esempi notabili vi è Casa di bambola di Ibsen sulla cui sovracopertina campeggia un ritaglio di giornale a colori che raffigura l’interno di una casa in miniatura e che pare disegnato a mano, o Viaggio intorno alla mia camera di Mainstre, volume che reca con sottile ironia un ritaglio di planisfero stampato nei classici toni del blu e del bianco.
Il portachiavi infilato nella serratura della porta dello spazio espositivo, si presenta come un vero e proprio “grappolo” di oggetti dalle più svariate forme: si notano chiavi spezzate – ricordi di traslochi – , chiavi da ladro comprate su eBay, numerosi portachiavi in metallo smaltato acquistati nei negozietti turistici che trapuntano a ritmo battente la città di Venezia; uno fra tutti è la silhouette di una Vespa marchiata VENEZIA, città la cui particolare urbanistica non consente il transito su mezzi motorizzati a due o a quattro ruote. Ma al di là delI’estetica kitsch tipica del souvenir di bassa qualità, che mescola arbitrariamente stereotipi legati alla cultura italiana dando vita a veri e propri nonsense, l’attenzione di Antonini è quasi tutta focalizzata sulla dimensione materialistica che emerge in questi oggetti, ossia il loro essere prodotti industriali creati in serie, adatti – e adattabili – ad ogni città che vive di turismo.
In questo senso G.M. si configura come una disamina molteplice e volutamente incompleta della dissipazione del concetto di autorialità, e di originalità, partendo da oggetti che più di altri si dimostrano ricaptatori delle tendenze contemporanee: uno fra tutti è l’oggetto-libro.
Lo scivolamento continuo nel gioco e nell’uso scorretto che si registra nella mostra è dunque un modo per riflettere su nuove modalità di visione del circostante, partendo dalla materia per raggiungere le dimensioni più impalpabili.