MO’ TE L’ACCOND




Nel corso di questa ricerca, l’artista arriva a riconoscere una sorprendente analogia tra l’amnesia infantile e l’Alzheimer: due condizioni profondamente diverse, ma entrambe segnate da un vuoto nella memoria, da un’assenza di accesso al proprio vissuto. Lo studio di questi fenomeni rafforza in Papicchio l’idea che l’oblio non sia solo una condizione patologica o temporanea, ma una dimensione che accomuna le estremità della vita trovando un riflesso con la nonna.
Il titolo Mo’ te l’accond (“Ora te lo racconto”, in dialetto pugliese) fa riferimento a una filastrocca che la nonna le raccontava durante l’infanzia. È un ricordo che l’artista non riesce a ricostruire pienamente: ne resta solo l’eco affettiva, non la memoria precisa. Questa assenza diventa parte integrante del progetto, testimonianza di come anche ciò che ci ha formati possa scivolare nell’indistinto.
Con Mo’ te l’accond, l’artista compie un gesto insieme documentario e poetico: interviene sulla fotografia della propria infanzia, strato dopo strato, per sottrarle all’oblio e restituire loro una nuova presenza. Le immagini manipolate non sono tentativi di ricostruzione personale, ma atti di resistenza contro la dissoluzione della memoria. In questo processo, Papicchio non cerca una verità oggettiva, ma esplora lo spazio ambiguo tra ricordo e racconto, tra ciò che è stato vissuto e ciò che è stato narrato.